
La missione Bosnia è iniziata a fine luglio 2018, quando siamo scesi a Bihac e a Velika Kladusa, lungo i confini bosniaco-croati.
Lì si trovano, rispettivamente, due campi profughi; quello di Bihac ha la fortuna di essere monitorato dalla Croce Rossa della città, la quale offre pietanze quotidiane e vestiti.
Non ha, però, dal 3 di agosto, più il diritto di medicare le persone.
Il campo di Velika Kladusa, anche chiamato “la Palude” è invece molto meno seguito dalle autorità e l’unico aiuto esterno arriva dalle piccole associazioni e dalla presenza di Medici Senza Frontiere.
Grazie a volontari già presenti sul luogo, abbiamo scoperto esserci centinaia di persone accampate in questi due campi improvvisati (quindi sporchi, in balia dei cambiamenti climatici, senza servizi igienici) di famiglie provenienti da Afghanistan, Siria, Pakistan e altri Paesi nei quali si trovano conflitti.
Cercando di entrare in Europa per chiedere asilo, queste persone si sono ritrovate ferme ai confini della Croazia (ossia il primo Paese appartenente all’Unione Europea) dove non viene loro concesso di entrare.
“Profughi”, così vengono chiamati dai più. Li chiameremo così nelle seguenti righe, per facilitarne la lettura.
Tra loro si trovano uomini, adolescenti non accompagnati, ma anche molte donne e bambini di ogni età, costretti a rimanere in Bosnia, aspettando il proprio momento per cercare una vita migliore facendo richiesta d’asilo altrove.
Questa attesa è l’ennesima negazione dei diritti umani nei confronti di persone che arrivano da viaggi di migliaia di chilometri a piedi, durante i quali la maggioranza ha subito ogni tipo di violenza fisica e oltraggio alla dignità umana.
Chi cerca di passare il confine nell’unico modo possibile, ossia quello illegale, viene fermato il più delle volte dalla polizia (in questo caso, croata) e rimandato indietro, dopo essere stato derubato dei propri pochi averi (telefono e soldi) e, molto spesso, aver ricevuto botte. Le donne e i bambini non vengono risparmiati da queste pratiche. Possiamo confermarlo personalmente, avendo visto, ascoltato e fotografato più di una storia di madre sola con figlio tornati pieni di lividi sulla pelle e di terrore negli occhi.
Avendo avuto, durante il 2017, la possibilità di essere presenti nell’aiuto concreto di situazioni identiche ma presenti a Belgrado, in Serbia, possiamo dire di conoscere discretamente le dinamiche, i bisogni e la struttura dei volontari che si trovano in questi campi non governativi e improvvisati.
Abbiamo quindi deciso che il progetto Bosnia dell’associazione Ma Anche Noi avrà il suo vero e proprio inizio nella seconda metà di ottobre.
Due volontari scenderanno con un furgone, nel quale saranno presenti beni necessari per la sopravvivenza e la dignità delle persone. Questi beni sono frutto di una raccolta tramite Facebook, che ad oggi è stato il canale migliore per portare aiuto oltreconfine.
Si tratterà di kit di prima emergenza per contusioni e ferite, di biancheria intima nuova, salviettine igieniche per bebé ed adulti e calze calde.
Vi saranno poi, sul luogo, materiali più ingombranti ma strettamente necessari da comprare quali:
coperte, sacchi a pelo, vestiti caldi, guanti e sciarpe e scarpe invernali.
Dopo una prima distribuzione, coordinata con volontari di altre associazioni che già stanno facendo un grande lavoro da mesi, e con i quali siamo quotidianamente in contatto, una persona di noi rimarrà a Bihac, in Bosnia. questo per poter monitorare una situazione che muta ogni giorno, capire quali e quanti siano i bisogni, soprattutto con l’imminente arrivo dell’inverno, che nei balcani è estremamente rigido.
(nel 2017 a Belgrado si sono toccate delle minime di meno 25 gradi, con migliaia di persone prive addirittura delle scarpe)
L’obiettivo è quello di assicurare a tutti la sopravvivenza innanzitutto, cercando di renderla il più umana possibile.
L’emergenza freddo sarà prioritaria e, con essa, anche le sue conseguenze:
malattie, scarsa igiene, e -non da ultimo- problemi comportamentali dovuti alla totale assenza di un accompagnamento psicologico in realtà oltremodo necessario per chi ha subito e continua a vivere traumi.
Una parte importante del nostro lavoro è sempre stata il contatto diretto e umano con le persone.
Chi ha perso tutto, ha lasciato la propria casa e i propri cari (vivi o morti) dietro di sé, spesso, ha l’umano bisogno di raccontare, di sentirsi considerato e non dimenticato.
Questo è un “lavoro” difficile da quantificare e spiegare, perché avviene in modo spontaneo, mentre si vive fianco a fianco volontari e “profughi”.
Si tratta, comunque, di un aspetto del volontariato che non può essere escluso dal quadro generale,
siccome stiamo parlando di esseri umani.
Gli episodi di violenza, soprattutto tra comunità diverse di profughi costrette a vivere letteralmente fianco a fianco, sono in aumento. La mancanza di privacy, di spazi vitali, di prospettive e -spesso- di speranza, porta la mente umana in uno stato di alienazione, dal quale le conseguenze possono essere aggressività, depressione, propensione alle dipendenze e molto altro.
Anche la popolazione autoctona inizia ad avere paura; il clima d’insicurezza e di paura sta montando tra la gente, clima che risulta difficile tenere sotto controllo dalla stessa polizia locale, che -con tutte le buone intenzioni del mondo- si ritrova a gestire qualcosa di troppo grande e inaspettato per un Paese come la Bosnia.
La volontaria che inizialmente si fermerà sul territorio (la sottoscritta, Nevia Elezovic) ha la possibilità di comunicare con la maggior parte delle persone, essendo di origini bosniache e avendo buone conoscenze di inglese, francese e, naturalmente, italiano, nonché una discreta visione totale sul mondo islamico, del quale praticamente tutti i rifugiati fanno parte.
Essendo fotografa di mestiere e avendo seguito un master in aiuto umanitario in situazioni di emergenza, potrà sia provvedere a (cercare di) risolvere i problemi che si porranno strada facendo, sia documentare il tutto, sempre nel pieno rispetto della privacy delle persone in difficoltà e con l’essenziale collaborazione di tutti i volontari già presenti o che arriveranno.
Non è prevedibile la quantità e l’identità dei beni dei quali necessiteremo per sostenere i rifugiati in difficoltà, possiamo solo immaginare che il numero di persone aumenterà e la stagione invernale subirà un calo del volontari.
Con un monitoraggio quotidiano e unendo le forze e le competenze a quelle altrui, Ma Anche Noi ha intenzione di provvedere al mantenimento di salute e dignità di tutti.
Questo “tutti” è purtroppo utopico, in quanto le migrazioni sono -per natura- veloci, dislocate e spesso dispersive.
Lo stesso “tutti” è però l’obiettivo che ci diamo sempre e comunque, perché solo in tal modo potremo raggiungere sempre più persone e non accomodarci al primo piccolo successo piuttosto che rinunciare alla prima piccola sconfitta.
Non siamo supereroi ma abbiamo imparato, attraverso l’esperienza, che ogni singola persona può essere essenziale per aiutarne un’altra.
Fino ad ora il sostegno dei singoli cittadini ci ha permesso di -letteralmente- salvare delle vite e renderne migliori molte altre.
La fiducia che i nostri sostenitori (famiglie, amici, colleghi, conoscenti e sconosciuti che seguono i nostri progetti) ci danno è una grande spinta per noi e i risultati nitidi e concreti sono, a loro volta, una conferma che tale fiducia non è stata mal riposta.
Parallelamente al lavoro sul campo, la nostra missione consiste anche nel denunciare le ingiustizie, le violenze e la disumanità della situazione nella quale moltissime persone si trovano, appunto, appena fuori dai confini dell’Unione Europea.
Questo muro di silenzio si sta lentamente sgretolando grazie ai costanti aggiornamenti che arrivano dal campo da parte di tutti noi volontari e di alcune ONG.
I media e la politica sono oramai costretti a prendere atto di quanto accade e questo è un minuzioso lavoro del quale ci occupiamo anche noi.
L’ultimo esempio che possiamo apportare è stata la segnalazione al Parlamento Europeo da parte di Elly Schlein, da noi direttamente contattata con informazioni chiare e inoppugnabili.
L’europarlamentare Schlein, ora insieme ad altri colleghi, si sta muovendo per portare alla luce diverse dinamiche disumane, come quelle della polizia di confine che usa violenza fisica su chi cerca di entrare in suolo europeo.
Cosi, sempre con l’essenziale collaborazione di colleghi sul posto, si stanno muovendo anche i principali telegiornali balcani e italiani, riportando i fatti ai cittadini.
Non è facile, come detto, prevedere il futuro, nemmeno il più prossimo.
Con questa consapevolezza scendiamo direttamente sul terreno e siamo pronti ad affrontare le sfide quotidiane per un principio che non è la carità, ma la solidarietà.
Vi terremo aggiornati su quello che accade, su dove vanno le donazioni, sugli sviluppi politici ma soprattutto umani che avverranno nelle prossime settimane e mesi.
Grazie della vostra fiducia.
Non smetteremo mai di ripetere che l’Oceano è fatto di gocce ed ogni persona è fondamentale per arrivare ad un cambiamento che sia in linea con la dignità umana.
Trovo ammirevole e coraggioso quanto fate in Bosnia!